martedì 27 maggio 2014

Siamo tutte femministe. I diritti dei gruppi vs i diritti individuali, una chiave di lettura

di Anna Chiara Borrello

Un paio di settimane fa è iniziata la campagna elettorale per le elezioni europee e ha fatto scalpore la Lista Tsipras perché la giornalista Paola Bacchiddu (responsabile delle comunicazione per la Lista) ha mostrato sulla sua pagina Facebook una foto delle vacanze in cui era in costume da bagno su una barca accompagnata da: «Ciao. E’ iniziata la campagna elettorale e io uso qualunque mezzo. Votate L’altra Europa con Tsipras»1

Dove «qualunque mezzo» è il fatto che mostri il fondoschiena, per cui i giornali italiani hanno dato risalto alla notizia, come voleva dimostrare con la sua provocazione. Al riguardo, ho trovato estremamente interessante il commento di Lorella Zanardo per Repubblica: «La nostra presenza sui media è pari allo 0,02 per cento e lei mi telefona per il culo della Bacchiddu. No, scusi, ma non ho nulla da commentare»2.

Tralasciando i media italiani e il fatto che pubblichino solo notizie di pettegolezzo o pruriginose, quello che mi interessa analizzare in questo contesto sono le reazioni dei femminismi italiani: pro e contro il gesto.

Le ragioni del pro.

La corrente femminista che si è schierata a favore di Bacchiddu lo ha fatto principalmente per andare contro ad un certo “moralismo di sinistra” o “moralismo femminista” secondo cui la giornalista non avrebbe rispettato il suo corpo e con quella foto avesse offeso la dignità delle donne; si sono schierate contro quel femminismo che vuole imporre un certo modo di vestire (quindi né corpi nudi né burka, perché entrambi offendono le donne) e che si scaglia contro chiunque non la pensi come loro. Argomentano a favore della “liberazione dei corpi”, per cui nessun* ha la verità su ciò che è giusto o sbagliato mostrare:

Si è semplicemente scelto che solo le donne di destra possono mostrare il culo pur definendole tutte schiave del patriarcato, mai autodeterminate, e quelle di sinistra, essendo invece molto libere, non hanno culo e tette ma dovranno mostrare solo cervello che è ovviamente scisso da resto del corpo. Se mostri un culo non hai più cervello e se mostri cervello devi evitare di mostrare il culo. Questa è la sintesi. Il culo è di destra (…) e allora riappropriarsene è reato3.

Come si evince da un passaggio successivo, le femministe di questo blog4 con “sinistra” intendono il Partito Democratico, anzi le donne del PD (“senonoraquandiste” diranno), ed è contro quella “sinistra” e contro la destra di Forza Italia che argomentano. 
Hanno, quindi, invitato a postare sul loro blog delle foto in cui si mostrano i corpi, in cui si “liberano”, per dare solidarietà a Bacchiddu e polemizzare contro il perbenismo moralista di quelle donne (e uomini) che hanno condannato la giornalista della Lista Tsipras. Argomentano per un «uso consapevole dei corpi»5.
 In un altro articolo, precedente a questo, Eretica spiega meglio il suo pensiero: 

Come poteva, perciò, piacere ad alcune l’iniziativa portata avanti su questo blog, la nostra nudità, la mossa di Paola Bacchiddu, se siamo immerse fino al collo in quel contesto culturale che espelle chiunque dissenta e pratica quell’espulsione con ostilità, con livore, con risentimento rivolto in termini personali contro chi divulga altre idee?6

Quindi prende in esame due critiche, una da parte di compagne a cui non piace che ci sia di mezzo un partito (fa l’esempio di coloro che fanno pornoterrorismo con spettacoli nei centri sociali), ma che si mettono in mostra, anche fino all’estremo, rivendicando una scelta. La seconda critica è quella espressa anche nell’altro articolo, sul femminismo moralista, che divide il mondo in due, «le donne vittime da salvare e gli uomini carnefici o paternalisti»7
Eretica non ne fa una questione di comunicazione, di media italiani e di rappresentazione femminile 
nell’immaginario collettivo. Al contrario, è proprio su questo che l’altra corrente femminista si sofferma. 

Le ragioni del contro. 

Le femministe del collettivo Un altro genere di comunicazione sono impegnate nella lotta contro la violenza sulle donne, soprattutto come tale violenza e le donne vengono rappresentate dai media (italiani in particolare), e non hanno visto la foto di Bacchiddu come una provocazione, come una denuncia contro i media stessi, ma come l’ennesima riprova che per far parlare di sé si deve usare un pezzo di un corpo femminile, di come una donna non sia altro che un corpo (anzi, un pezzo di corpo, perché è interessante solo il fondoschiena) e non le sue idee10. Questa corrente femminista argomenta non dal punto di vista “moralista" o della “sinistra”, non entra nel merito dell’autodeterminazione di questa scelta di mostrare il proprio corpo in modo deliberato, ma semplicemente che non è un’idea nuova, piuttosto che è la solita trovata per farsi pubblicità « “con ogni mezzo” alla ricerca di visibilità»: 

Questo corpo, questo sedere non contengono alcun messaggio, non hanno un contenuto, sono solo feticci, specchietti per le allodole, un sistema per richiamare l’attenzione, peraltro restando nei canoni di una bellezza che di rivoluzionario non ha nulla. Si tratta di un classico esempio di “Patriarchal bargain”, ovvero quel “Contratto col patriarcato” che punta a manipolare il sistema vigente (il patriarcato appunto), per trarne il massimo del vantaggio, ma senza sovvertirne le regole.
Se questa fosse una donna di destra, l’autodeterminazione non la avremmo nemmeno sentita nominare.
E noi non saremmo d’accordo, come non accettiamo gli insulti e lo stigma che la rete riserva anche a Bacchiddu e alla sua trovata, perché la sua foto in costume non rappresenta certo la rovina del genere femminile, come a molt* piace gridare.
Invece questa è una donna di sinistra che, siccome i media non parlano del suo partito, decide di farci vedere il culo per ottenere visibilità. La cantonata è pensarla una trovata rivoluzionaria.11

Queste femministe puntano l’attenzione sul conformismo della trovata, criticando il fatto che non ci sia un messaggio dietro, soprattutto non un messaggio “femminista” – in questo caso “femminista” significa “di autodeterminazione femminile” – e chiedono ad Alexis Tsipras stesso, se Paola Bacchiddu davvero era convinta che un culo avrebbe aiutato, di mostrarlo, invece di fare tanti comizi. 
Queste due correnti possono inserirsi benissimo in una discussione più ampia sul femminismo, visto dal punto di vista multiculturalista e dal punto di vista interculturale. 
Ritengo che queste due posizioni siano da inserire all’interno di una riflessione sul pensiero femminista cosiddetto “della differenza”12 e sul piano della definizione di “identità”. Il femminismo della differenza è la richiesta di andare oltre l’uguaglianza formale del primo femminismo, per una uguaglianza sostanziale, per una valorizzazione delle differenze, che esistono e non possono essere ignorate, senza operare ulteriori discriminazioni. Identità come appartenenza e come differenza, come far parte di un gruppo in cui ci si identifica significa, o meglio ha significato fino ad anni recenti, che in quel gruppo si è tutti “uguali”, che si vogliono le stesse cose, che si sentono le stesse cose, che si agisce nello stesso modo. 
Questa potrebbe essere, secondo una mia personale rielaborazione, una definizione di quello che viene definito multiculturalismo: i gruppi sono omogenei al loro interno e hanno bisogno di un diritto e di diritti uguali. 
Al contempo, all’interno di un gruppo vi sono delle differenze, vi sono o vi possono essere delle minoranze all’interno di minoranze e quindi l’appartenenza identitaria non è più rispetto ad un sentire o un volere “uguale”, e a questo punto, estremizzando questa logica, «il concetto di identità diventa un modo per dare un nome a quello che il singolo ha di specifico, piuttosto che a quello che egli condivide con un insieme di persone»13
Ne consegue che, quando si parla di diritti di un gruppo, date le opinioni più diverse che possono risultare anche solo da una foto, come abbiamo visto, chi decide la strada da percorrere? 
Quando si parla di società e di rappresentazione di una parte di essa, è più importante guardare al gruppo o agli individui?
 Come diritto individuale, Paola Bacchiddu poteva mostrarsi in costume da bagno per provocare una reazione nell’opinione pubblica, ma come diritto di un gruppo (le donne) si è dimostrata poco attenta a quello che anche le altre avrebbero voluto? 
Soprattutto riguardo all’immagine della donna, che in Italia è particolarmente male rappresentata dai media, avrebbe dovuto astenersi dal collegare il suo fondoschiena con la politica14

Susan Moller Okin nel suo paper dal titolo Multiculturalismo e femminismo. Il multiculturalismo danneggia le donne?15, analizza alcuni aspetti problematici dei diritti di gruppo contrapposti ai diritti degli individui e come i primi possano non andare a vantaggio delle donne.
Nel suo paper Okin si focalizza sui problemi relativi alla cultura patriarcale di un gruppo inserito in un contesto strutturale meno rigido e le conseguenze che può avere sulle minoranze16 al suo interno,
specialmente riguardo alla violenza, manifesta o meno, contro le donne. Okin analizza nello specifico l’aspetto del controllo sulle donne, specialmente dal punto di vista sessuale, di cui queste culture sono pregne e di come molti aspetti, se non la maggioranza di questo controllo e potere, possano rimanere nascosti e confinati alla vita domestica, quindi al privato, e non riuscire ad avere visibilità pubblica e la conseguente attenzione da parte dell’establishment politico che poi promulga le leggi: «Quando si producono argomentazioni liberali a favore dei diritti di gruppo, occorre un’attenzione particolare (…) per le disuguaglianze fra i sessi, perché esse sono meno soggette ad essere rese pubbliche, e meno (…) discernibili»17.

Okin ritiene che le donne dovrebbero avere maggiore voce nel processo del decision making, che forse solo in questo modo potrebbe essere giusto dare dei diritti particolari a tali gruppi per salvaguardare la loro cultura di origine:

Poiché l’attenzione ai diritti delle minoranze culturali deve essere coerente con i principi fondamentali del liberalismo, deve avere come fine ultimo la promozione del benessere dei membri di questi gruppi, e perciò è ingiustificato assumere che i sedicenti capi di quei gruppi - invariabilmente, per lo più, i membri anziani e maschi - rappresentino gli interessi di tutti i membri del gruppo.A meno che le donne - e più precisamente le donne giovani, perché le anziane spesso vengono cooptate nel rafforzamento della disuguaglianza di genere - non siano pienamente rappresentate nei negoziati sui diritti del gruppo, i loro interessi possono essere lesi piuttosto che promossi dalla concessione di tali diritti.18

Una conclusione simile, sebbene parta da considerazioni opposte sul paper di Okin, viene fuori 
anche dalla lettura di Luca Baccelli, ne I diritti dei popoli. Universalismo e differenze culturali19
Baccelli cita Catharine MacKinnon per enfatizzare il rapporto tra diritti e rivendicazione: «I diritti andrebbero intesi (…) più come proprietà degli individui, come l’espressione del claiming, visti non tanto come pretese individuali, ma come processi collettivi20». Baccelli si focalizza molto sull’astrattezza dell’universalismo dei diritti, siano essi riguardo ai titolari che al catalogo, prendendo in esame anche de Gouges21, oltre a MacKinnon, per arrivare alla stessa conclusione di Okin, che è di importanza fondamentale che le donne partecipino ai processi di creazione di questi diritti, in chiave emancipativa. Illuminante è l’esempio delle donne maya del Chiapas durante la rivoluzione zapatista che chiedevano di partecipare ai processi decisionali per i cambiamenti sociali, economici e politici.
Baccelli conclude così: 

Il linguaggio dei diritti, parlato con voce di donna indigena dalla Comandante Esther, permette di distinguere fra i costumi e le norme tradizionali quelli da conservare e sviluppare e quelli da abbandonare (…) e che l’attività politica per realizzare l’emancipazione (…) potrà realizzarsi solo all’interno del processo di emancipazione delle stesse comunità22

Quello che mi chiedo io, e a cui non ho trovato risposta in questi saggi o in altra letteratura, è questo: considerando che l’universalismo dei diritti e il multiculturalismo devono essere rivisti, che si deve dare voce alle varie rivendicazione dei gruppi e dei sottogruppi, che ogni minoranza ha diritto a farsi sentire, considerando che all’interno di qualsiasi gruppo ci sono opinioni discordanti tanti quanti sono i membri di tale gruppo e che spesso ambiscono a risultati opposti o contradditori, chi è al potere in un dato momento, come può prendere una decisione? 
Il femminismo è decostruzione di stereotipi e del patriarcato per arrivare ad una società in cui nascere donna non è pregiudicante per le ambizioni di una persona né discriminante riguardo alle sue scelte personali e sessuali, se vogliamo dare una definizione descrittiva la più generale possibile. Per arrivare a questa società utopica, però, si devono fare dei passi in qualche direzione. 
Come scegliere tale direzione sembra una strada minata da opinioni divergenti. Per tornare al mio argomento principale di discussione: mostrare il fondoschiena è stato un atto di provocazione consapevole e di autodeterminazione o la solita foto sessista che fa pettegolezzo senza avere contenuti? 
Pensare che la risposta possa e debba essere solo una è avere una visione multiculturalista, in cui si restringe la visione del femminismo ad una sola idea, senza ascoltare i claiming dal basso di opinioni divergenti o è fare fronte comune per arrivare ad avere delle leggi che soddisfino almeno la maggioranza delle donne (femministe)? 
Se far parte di una cultura è usarla e cambiarla secondo le proprie inclinazioni, nella visione interculturale, quali diritti si devono portare avanti, anche e soprattutto di fonte alle gravi violazioni a cui assistiamo quotidianamente? 
Il problema si pone per chi è al potere e a quel punto saranno le pressioni più forti a determinare la direzione da intraprendere, come sempre.


 ADDENDUM: mi è stato fatto notare che una fine così è un po’ amara e troppo real politik, che potrebbe sembrare che l’autrice ritenga che affrontare i problemi in modo così complesso e specifico faccia disperdere le energie e sia un esercizio futile, dal momento che poi sono sempre i “più forti” a vincere. Ci tengo invece a specificare che il mio pensiero è esattamente l’opposto: il fatto che siano le pressioni più forti a determinare quali leggi fare, ci deve spingere a lottare di più. La realtà è complessa e per questo bisogna discutere fino a consumarsi le dita sulla tastiera o le corde vocali alle riunioni, in piazza, ovunque. Partecipazione, discussione, eviscerare un argomento fino al dettaglio. E portare avanti le proprie idee. È questo il mio pensiero.




4. L’autrice del blog è Eretica e lo ha pubblicato su: http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/05/07/bacchiddu-cera-una-volta-un-bikini-che-indigno-le-moraliste/976128/ ed è stato poi ripreso da Femminismo a Sud, essendoci una collaborazione tra Eretica e Femminismo a Sud. 
5. Ibidem. 
7. Ibidem. 
8. L’altra corrente che prendo in esame, infatti come si evince dall’articolo, le opinioni sono molte più di due. 
9. Hanno prodotto un film dal titolo “Le donne vendono, vendi le donne”, in cui denunciano come le donne nei media siano oggettivizzate e proposte solo per compiacere uno sguardo maschile eterosessuale, come siano ridotte a merce: http://comunicazionedigenere.wordpress.com/le-donne-vendono-vendi-le-donne/ 
12. Alessandra Facchi, Il pensiero femminista sul diritto, in G. Zanetti, a cura di, "Filosofi del diritto contemporanei", Cortina, Milano 1999, p.7. 
13. Robert W. Connell, Questioni di genere, Il Mulino, Bologna, 2006, p. 159. 
14.Un articolo uscito un paio di settimane dopo la foto di Paola Bacchiddu, su come è strumentalizzato il sedere delle donne politiche italiane http://www.goleminformazione.it/commenti/lista-tsipras-maria-elena-boschi-comunicazione-politica.html 
15. Susan Moller Okin, Multiculturalismo e femminismo. Il multiculturalismo danneggia le donne?, trad. it. di M. Ch. Pievatolo (ed. or. "Boston Review", oct./nov. 1997). 
16. Minoranza riferito alle donne potrebbe sembrare un termine sbagliato, dal momento che quantitativamente sono pari, ma è la rappresentanza politica (nel più ampio senso del termine) ad essere manchevole, le donne sono sottorappresentate e quindi una minoranza. 
17. Susan Moller Okin, op. cit., p. 9. 
18. Ibidem. 
19. Luca Baccelli, I diritti dei popoli. Universalismo e differenze culturali, Laterza 2009. 
20. Ivi, p. 140. 
21. Con la sua Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina del 1791. 
22. L. Baccelli, op. cit., p. 147.